Cosa sta cambiando nella moda maschile e femminile? 

Questo è un tema interessante, riguardo al quale si scatenano spesso paure e moralismi, perché strettamente legato alle aspettative di genere e a ciò che la cultura storicamente ritiene essere l’abito adatto per maschi e femmine.


Fin dalle civiltà classiche, passando per medioevo, rinascimento e fino agli anni ’70, gli abiti da uomo e da donna erano rigidamente diversi.


Ad esempio le leggi suntuarie della Repubblica della Serenissima a Venezia, cioè quelle norme che si occupavano di abbigliamento per le varie classi sociali, fissavano l’obbligo di vestire in modo conforme al proprio sesso e al proprio censo.
L’unica eccezione avveniva durante il Carnevale, in cui i ruoli si mescolavano e l’ordine era volutamente sovvertito.


Fino alla moda unisex degli anni ’80 nessuno si sarebbe mai sognato di vestire con abiti diversi da ciò che norme, dettami religiosi e consuetudini indicavano come giusto.
Al massimo c’erano donne che si travestivano da uomo per svolgere compiti riservati solo ai maschi oppure uomini che si travestivano da donne perché sentivano di non appartenere al proprio genere assegnato.

Tutto cambia con il progressivo avanzamento delle lotte femministe per la parità di diritti nella sfera pubblica e professionale, perché le donne hanno iniziato a ricoprire spazi prima occupati solo da uomini e ad indossare abiti mutuati dell’abbigliamento maschile.
È il caso delle giacche strutturate e dei completi pantalone degli anni ’80, con cui le donne in carriera cercavano di assomigliare agli uomini per essere trattate alla pari nel mondo degli affari.


Nello stesso periodo si propongono linee unisex per livellare le differenze nella moda, un fenomeno che però dura poco perché non valorizzano le forme, soprattutto quelle femminili che vengono penalizzate, dal punto di vista seduttivo, da abiti molto larghi o senza pinces. 

Ai giorni nostri, molte proposte moda sfidano lo status quo e permettono di riflettere sui ruoli di genere anche in ambito di stile e abito.
Ad esempio Valentino oggi con Pierpaolo Piccioli o Gucci quando c’era Alessandro Michele, hanno lanciato un immaginario fluido, in cui la virilità si esprime anche attraverso la gonna e la femminilità non necessariamente attraverso l’esposizione del corpo. 

Certo, in alcune sfilate sembra essersi perso il buonsenso più che la rigida divisione dei ruoli, come ha più volte avuto modo di sottolineare Giorgio Armani nelle interviste e nelle stesse scelte in sfilata.
A volte infatti assistiamo a collezioni semplicemente brutte o esageratamente provocatorie, ma in generale la tendenza che prende sempre più piede anche fra le giovani generazioni, è quella della libertà di espressione personale, al di là dei canoni imposti dalla società tradizionale. 

Stiamo diventando più liberi o solo più individualisti?
Stiamo scoprendo nuove estetiche o perdendo il buon gusto?


Sono domande lecite, a cui risponderemo solo osservando come si evolveranno gli Archetipi del maschile e del femminile nella società moderna.
E in questo senso le sfilate sono un ottimo spazio dove proporre nuovi ruoli e testare il gusto del pubblico. 

Stiamo a vedere cosa succederà.

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