Di recente mi è capitato di leggere un articolo di un giornalista (che non nominerò per non dargli nemmeno un briciolo di visibilità, già definirlo giornalista è uno sforzo) che cercava di screditare Michela Murgia sentenziando che è brutta e che se fosse stata bella non sarebbe stata femminista.
Potrei liquidare la sua opinione con una risata, ovviamente, ma oggi vorrei fare insieme una riflessione su questa argomentazione, perché nasconde un tranello in cui è facilissimo cadere.
Accade infatti molto spesso che per screditare una donna si faccia ricorso al suo aspetto fisico oppure ai suoi presunti costumi sessuali.
Ma quando, in ragione del contesto, magari non puoi spingerti a fare una battuta volgare sulla sua condotta privata, la fallacia argomentativa più semplice da usare è proprio il commento sprezzante sull’immagine personale.
Certo, puoi farlo anche nei confronti di un uomo, ma hai notato che funziona sempre meglio contro una donna?
Se dico che Brunetta ha inseguito il potere per compensare il fatto di essere un tappo, oppure dico che Murgia è diventata femminista perché è una cozza, chi ne esce peggio?
Qual è il commento più offensivo, quello che sminuisce maggiormente il valore della persona?
A quale insulto dai più credito?
Ecco, appunto.
E questo accade perché la nostra attuale società si basa su di una costruzione culturale che considera come parte integrante dell’essere femminili il fatto di essere belle.
Se ci fai attenzione, quando ti viene consigliato come valore di essere più femminile, implicitamente ti viene fatto intendere che devi essere (nell’ordine) più bella, più gentile e accogliente, più mansueta e silenziosa.
Il massimo sarebbe bella e zitta, cioè rendersi piacevole e non disturbare.
Attenzione, perché questo argomento estetico in chiave delegittimante non viene usato solo dagli uomini, come sarebbe lecito aspettarsi.
Viene invece usato indifferentemente da uomini e donne, quando si vuole togliere valore ad una persona sentita come avversaria.
Ho chiamato questo processo fallacia argomentativa perché a livello logico non ha senso screditare il pensiero di qualcuno nominando il suo aspetto fisico.
Sono due sfere diverse.
Eppure funziona, arriva subito alla pancia e convince, perché ha un portato emotivo fortissimo in ragione del fatto che nella nostra cultura (come in quasi tutte le culture umane, del resto) diamo un grande peso sociale alla bellezza, in quanto legata alla capacità attrattiva. Per ogni essere umano è importante essere considerato piacente, perché fin dalla più tenera età, se piaci sei salvo: verrai amato, accettato, accudito, nutrito e una volta adulto ti sarà garantita una vita sessuale e la possibilità di riprodurti.
I tuoi principali bisogni biologici fondamentali vengono meglio soddisfatti se piaci agli altri, quindi ognuno di noi ci tiene ad essere attraente.
Se poi non sei considerato bello o bella, cioè conforme al canone estetico dominante nella società, dovrai sviluppare altre qualità: fascino, cultura, eloquio, intelligenza, simpatia, potere, ricchezza.
Solo che per gli uomini questo è considerato normale, mentre per le donne non è ancora la stessa cosa.
Nessuno si indigna di fronte ad un uomo brutto, quasi quasi nemmeno lo si nota.
Invece una donna brutta fa scalpore, soprattutto quando sembra non fare nulla per rendersi conforme al modello estetico.
Perché se sei donna e non sei bella di natura, per lo meno devi essere curata, magra, ben pettinata, vestita e truccata.
Allora tutto sommato sei socialmente accettabile, perché stai comunque facendo del tuo meglio per renderti attraente.
Se invece sei morbida, non ti tingi i capelli bianchi, non ti trucchi, non indossi tacchi, magari non ti depili nemmeno e hai uno stile tutto tuo, allora stai proprio disobbedendo e dunque stai provocando deliberatamente.
Non ti è consentito porti al di fuori delle regole estetiche coniate storicamente sulla base dello sguardo maschile, perché il tuo atteggiamento non viene letto come libertà personale bensì come insulto sociale.
Chi sei tu per sottrarti al dovere di essere desiderata e desiderabile?
Chi sei tu per dichiarare di non aver bisogno di piacere agli uomini?
Un tempo le donne erano costrette a piacere, perché restare nubili significava ritrovarsi in mezzo ad una strada, in convento oppure bollate con lo stigma sociale di ‘zitella‘.
Le donne di buona famiglia non potevano avere lavoro né proprietà per legge, quindi nessuna aveva la propria indipendenza economica.
Di conseguenza serviva qualcuno che le mantenesse: un padre o un marito, di regola.
Oggi molto è cambiato grazie alle lotte sociali di donne bollate come ‘femministe‘, ma siamo ancora lontane dal gap zero, cioè da una totale situazione di parità in tutti gli ambiti.
E infatti retaggi come quello di delegittimare una donna in quanto ‘brutta’ restano ben presenti nel parlato comune, come a ricordarci che mentre lodiamo il nostro essere moderni e progressisti, in realtà dentro di noi albergano strati di misoginia antica che restano lì ben conficcati e agiscono indisturbati quando meno ce lo aspettiamo.
Non importa se a livello razionale capiamo che certe argomentazioni non hanno senso logico, perché la cosa essenziale è che funzionino quando vengono usate.
Non importa se usarle significa tornare indietro di secoli, la cosa fondamentale è avere ragione nell’immediato e vincere sull’avversaria.
E magari strappare una bella risata da spogliatoio, che va sempre bene.
Come siamo civili, eh?